IO- E’ partito-non c’è più!
TU- Come non c’è più?
IO- Oggi ho guardato fuori sul terrazzo e non era più lì.
TU- Partito?
IO- Probabilmente..
TU- Per dove?
IO- Chi lo sa..
Alla ricerca del compagno disperso?
TU- Non lo escluderei..
IO- Tornerà?
TU Assai poco probabile.
IO- E noi?
TU E noi.
IO- Noi cosa?
TU- Noi ci conviene restar saldamente attaccati a questo “noi”.
IO- Non vuol dir niente!
TU- No, vuol dire che è meglio star attenti a non perdere il contatto con la realtà… intendo, cioè, il contatto con noi stessi. Con quello che si attende a noi qui ed ora, concentrati, concentratissimi.
Per non perdere il senso delle cose, il senso delle cose. E’ importantissimo!
Bisogna stare attenti che il senso delle cose non se ne scappi con le cose, quando le cose se ne vanno, altrimenti son cazzi, son cazzi amari. Sissignore: cazzi amari!
IO- Eppure ora guardo al terrazzo, e lui non c’è, e mi chiedo dove sia..
TU- E dove vuoi che sia?
IO- Da qualche parte sarà..
TU- Ottima risposta! Non avrei saputo rispondere in modo più corretto: “da qualche parte sarà”!
Che altro ti domandi?
IO- Mi domando che starà facendo..
TE- Che posso dirti..: ipotizza!
IO- Starà tra la neve, forse.
TU- Ok, mettiamo che ora io sappia per certo che egli è sulla neve e te lo confermi, sei soddisfatto?
O magari no? O magari avresti voluto sapere che ti stava pensando?
Magari avresti voluto sapere che stava cercando, in mezzo a mille difficoltà, di ritornare a te.. magari vorresti che ti dicessi che ben presto sarà di nuovo con te! O mi sbaglio?
Come trovar familiare che colui che sempre “fu” per noi ora non è più qui, ora non si presenta,
gentile e un po’ imbarazzato come accadeva, d’innanzi ai nostri occhi adoranti?
Non è questo in realtà quello che ti stai domandando?
IO- Chi lo sa ormai? Tu oltre a questo che sapresti dire?
TU- Non molto di più..
IO- Sai che una volta dimenticato sarà più facile, non è vero? E non ti sbagli.
TU- Credi che riuscirai a non dimenticarlo?
IO- Non lo so.. ma avverto che ha avuto così tanto a che fare con me, che lo considero ormai una parte del mio intimo.
TU- Ma le cose fan parte dell’esterno, le vedi: non sono te!
IO- L’esterno sono le cose così come abitualmente le distingui da te e che si alternano l’una all’altra incessantemente, ma allo stesso modo sono ancora cose quelle che, fortemente volute e fortemente trattenute fino ad averle fatte restare, vanno a riporsi nel luogo in te più protetto dal tempo: l’intimo, il fondo della caverna.
TU- Ma se il tuo esterno sono cose e il tuo interno è ancora una (s)elezione di cose, oltre a questo, cosa rimane di te? Dove si nasconde il tuo io profondo? La tua essenza prim’ancora dell’incontro con le cose?
IO- Negli occhi prim’ancora che si aprissero.
TU- Ma gli occhi senza cose son ciechi!
IO- E allora né il mondo c’è ancora, e neanche tu ci sei ancora!
TU- E cosa c’è?
IO- C’è l’avvento: l’attesa della venuta sincrona di entrambi. C’è un palcoscenico vuoto di fronte ad una platea vuota, ed un silenzio perfetto che vibra d’una tensione smisurata, una tensione che spacca.
TU- Dunque se è così, lui che se ne è andato ha prodotto come un buco, una mancanza,
un vuoto nel mio interno, nel mio sé?
Perché come cosa nell’esterno non lo trovo più. Lo trovo ora, e sembra tutto capovolto (!!), solo nel mio interno. Esso ha perso la sua indipendenza e la sua libertà individuale, la creatività imprevedibile del suo agire come singolo. Egli dipende solo dalla mia capacità di ricordarlo, di serbarlo nel mio pensiero e dunque, soprattutto, di andarlo a ridestare ogni tanto ed ospitarlo nei miei occhi. Ed osservare assieme a lui il mondo così come accade in quel momento. E sapere che cosa lui mi direbbe a proposito, in che modo il suo amore per la vita si esprimerebbe lì.
IO- Ma forse non sempre sarà così presente in me, il tempo passerà e temo che, nonostante tutto, lo dimenticherò inevitabilmente.
TU- Ma come poter continuare a ritenersi colpevoli di dimenticare? Il tempo mangia i suoi figli, ed i figli restan pur sempre della stessa pasta del padre ...
… son uccisioni – queste - alle quali siamo costretti a fare il callo, dimenticare, superare, andar oltre..
è NECESSITA’!
IO- Andrà tutto perso dunque: le cose andate perse e noi stessi quando ci perderanno?
Non è importante tanto cosa va perso, né chi lo perde e lo ricorda o lo dimentica.
Tutte le cose, anche le persone, non sono mai abbastanza reali per non essere dimenticate.
Ciò che non perisce mai è ciò che non ha come unica (assai relativa) salvezza il ricordo:
è ciò che può sempre rinascere.
E’ la Fenice, l’universale, lo spirito che sempre rinasce nell’uomo che realizza la propria umanità.
E’ il sentimento rammemorante sorto in quelli che un po’ si sono commossi per il calzetto rimasto vedovo.
Si, erano due calzetti !!
Eppure costoro non sapevano affatto chi fossero i due protagonisti,
ma il contenuto emotivo della fiaba li ha raggiunti ugualmente.
Ogni essere che trova nella disavventura di X un’analogia con una particolare condizione d’essere dell’essere umano che anche lui ha provato COMPRENDE.
Anche se non sa che X=calzetto.
Ed ora che sa che è un calzetto sorride perché “mai calzetto alcuno arrivò a tali altezze di liricità”.
Ma io dico che si può!
(Oggi non è più il tempo degli eroi, nessuno sarebbe disposto ad onorarli e nessuno si sacrificherebbe per diventarlo, solo due calzetti sono degni di diventare eroi)
Dico che è possibile che un ridicolo calzino ispiri sentimenti di tenerezza e compassione!
Perché – e questo è il punto - anche il povero e semplice calzino è capace di rendermi l’immagine di me stesso come uno specchio.
La ricchezza di liricità e sentimento dell’essere umano che lascia scorrere le proprie passioni invade ogni oggetto del suo mondo.
Ed ogni oggetto comincia a parlare, diviene un’isola del sé di quell’uomo.
Più propriamente il calzino suscita in lui un sentimento di tenerezza e compassione, ma lui E’ essenzialmente questo complesso di sentimenti ed E’ QUESTO che vede allo specchio grazie al calzino come medium
(che alla fine si rivela essere una sua proiezione).
Ma in realtà è il contenuto umano che caratterizza il sentimento che tramite il calzetto vuole farsi condividere.
Quando un uomo incontra un altro uomo incontra essenzialmente se stesso,
qui è possibile la condivisione, non la proiezione:
condivisione del sentimento di fronte ad un oggettività condivisa: la storia del calzetto!
La quale riproduce l’identico (il sentimento) di esperienze diverse e sorte per ragioni differenti di due persone: tale identico è il primo ontologico, l’universale nel quale le anime si incontrano. Chi non ha mai avuto esperienze che attivassero sentimenti di tenerezza e compassione nei confronti di una separazione improvvisa di un’unione felice e di una reazione incondizionatamente e magari infondatamente speranzosa,
non compassionerà mai lo sventurato calzetto!
In realtà però la compassione non ha istituito una relazione di empatia con il calzetto ma con colui di cui la fiaba è immagine.
La sua storia non è che il ritratto dello spiritello che gli si animava dentro.
Questa storia è una parte di me, di più:
sono io in un particolare modo, o ancora di più:
è l’uomo che sempre è, or ora in me rivelato in una sua particolare e unica sfacettatura.
Ed anzi è il calzetto che rivela, proprio come un gioco di specchi, un volto che in altri modi non è possibile vedere: il volto unico della Coscienza Felice d’Essere.