24.12.05

fiaba di Natale

Pubblico questa fiaba che alcuni hanno già avuto modo di leggere, è la mia fiaba di Natale:
UNA FIABA INVERNALE
Se ne stavano pacifici l´uno accanto all´altro sulla terrazza che dominava il prato antistante. Accaldati com´erano, avevano accolto festanti la proposta di passare una notte fuori e godere dell´aria fresca del primo inverno. E cosí fecero.

La mattina li sorprese e con la sua luce avvolse le loro sagome che, sovrapposte, si confondevano a formare un´unica figura.
Destatisi, salutarono con gioia e rinnovata freschezza il nuovo luminoso giorno.
Ma quasi subito si accorsero che l´aria si era fatta piú sottile e piú fredda della sera precedente, si percepiva in essa una misteriosa frenesia, un non so che di frizzante...
un indistinto presagio di qualcosa di ancora sconosciuto e inafferrabile, qualcosa che peró non nascondeva piú il proprio ormai prossimo avvento.

Un vento finissimo cominció allora a spirare in un silenzio fattosi piú greve, piú carico di materia, piú profondo.
Fu allora che comiciarono a scendere i primi fiocchi, mossero incontro alle cose, inarrestabili e costanti. Era la neve che faceva la sua prima elegante aristocratica apparizione.

I due accolsero con gioia tale arrivo e lasciavano che i fiocchi candidi e leggeri, delicatamente, li colpissero.

Alché una volonta´ carica di malvagitá squarció la pacifica distesa, il cielo vibró d´una tensione insostenibile ed un vento violentissimo cominció ad investirli.
I fiocchi si fecero grandi, pesanti, capricciosi, invadenti; spinti da quel vento diabolico aggredivano ora qualsiasi cosa, e sbattendola miravano a soffocarla.
All´improvviso una folata piú forte delle altre li sollevó da terra, li divise, li spinse lontano l´uno dall´altro facendoli scomparire alla vista.
La bufera continuó ad imperversare ferocemente ancora per molte ore.

Il giorno seguente il sole splendeva radioso e l´aria era piú mite. Molti superstiti ricomparivano allora sottraendosi faticosamente alla morsa del ghiaccio, rincuorati dal soccorso del calore solare. Fu allora che lo vidi.
Giaceva in un`angolo all`ombra; allo sguardo appariva rigido e contratto, avvolto da una camicia di ghiaccio era completamente inerte, privo di ogni vigore.
Provai a liberarlo tirandolo per un`estremitá ma ahimé, non ci riuscivo, il ghiaccio lo tratteneva, lo voleva per sé, il suo sinistro scricchiolio bisbigliava "lui é mio ormai: desisti!", "appartiene a me, vattene!".
La disperazione cominciava ad impadronirsi di me: feci l`ultimo tentativo.
Puntando un piede sul parapetto metallico, tirai, tirai, tirai con tutta la mia forza e finalmente cominció a sollevarsi, il ghiaccio si schiantó in un urlo di rabbia e di sconfitta e lo riebbi.
Del compagno non v`era traccia, scrutai a lungo in ogni direzione, ma niente. Inoltre il prato sottostante quella terrazza era separato da un salto di diversi metri di altezza e dunque inaccessibile ad una eventuale perlustrazione.

Rimase sulla terrazza.
Indifferente all`idea del piacevole tepore di una stanza riscaldata rimase fuori sul terrazzo.
Ritto in un incredibile sforzo verticale, consentitogli dalla armatura di ghiaccio che ancora lo ricopriva, permaneva immobile in attesa, in ascolto di un possibile richiamo del compagno, che forse, magari non subito, magari con il farsi innanzi della primavera, sarebbe tornato per ricongiungersi a lui.
Ogni tanto lo osservo dalla finestra della mia stanza, lo vedo sempre peggio, ma capisco che ha ragione, che é lí che deve stare, lí o da nessuna parte!
Guardandolo capisco che anche un`unica flebile speranza puó essere sufficiente per dare una ragion d`essere a chi da se stesso non vuole piú nulla.
E sarebbe un crimine negargliela in nome di un dubbio consunto buon senso.
Fine

La domanda è: "chi sono i due protagonisti??"
Occhio che è una fiaba e nelle fiabe ci sono le personificazioni!
La soluzione arriverà con la Befana il 06-01-2006. Ed ora spremete le meningi!

23.12.05

Birra, Vecchia, Cioccolata e ancora Vecchia


Non so perché, ma aspettai che si chinasse.
Lei, lì, a non più di due passi da me, non più di un metro e cinquanta, ciocche bianche ed un carrello.
Mi si era messa davanti – lei ed il suo carrello – mentre fissavo la parete di bottiglie di birra.
Stavo cercando di individuare quelle che non avevo ancora assaggiato e, cosa non facile, decidere quale avrei preso quella volta.
Eppure non avevo nessuna voglia di birra perché da qualche giorno mi faceva male il fegato, ma – mi dicevo – avrei dovuto sfruttare l’occasione poiché ero poco carico e prima o poi quella birra l’avrei pur dovuta comprare.
A dire il vero quella vecchia era così bassa e così piccola che mi nascondeva solo gli scaffali più bassi, le cui birre tra l’altro erano da un pezzo fuori concorso che – nella mia mente – erano state scartate già alle prime eliminatorie.
E dovrei anche aggiungere che avvicinandosi non mi aveva neanche potuto vedere poiché ero giusto dietro ad una colonna che campeggiava in mezzo alla corsia.

Ma mi aveva dato fastidio – lei ed il suo carrello – perché in quel supermercato neanche ci volevo entrare, perché il saldo del conto in banca si era paurosamente ristretto, perché non avevo appetito, perché avrei dovuto essere in un aula studio a studiare e – macché - non ci riuscivo.
E lei era lì – la vecchia –, traslatasi un po’ oltre era ora interessata alla scaffale alle mie spalle:
gravitava in un religioso silenzio di fronte al ripiano dei dolciumi.
Io la ignoravo sprezzando quella bassa dimostrazione di sollucchero senile.
Volevo concentrarmi sulla mia delicata questione e la pura semplice presenza di quel misero essere mi scocciava assai, ma poi

Avverto un rumore come uno schiaffo – La cioccolata Ritter per terra – La Paulaner chiara potrebbe essere una buona scelta.
E’ un rumore come uno schiaffo – La cioccolata è al latte perché è di color celeste -Altrimenti c’è la Löwenbräu che non l'ho ancora provata.
Un rumore come uno schiaffo - La confezione è quadrata ed è caduta non parallela allo scaffale – Sia la Paulaner che la Lowenbrau costano 65 centesimi – Il pavimento è di mattonelle chiare composte di vari colori intorno al beige.

Il cervello della vecchia comunica alla vecchia che non ci sono più speranze: la cioccolata permane sul pavimento, bisogna dar inizio alle manovre di curvatura (tipo Enterprise).
Avverto un beccheggio alla mia sinistra, vicino alla cioccolata c’è una ruota ed un po’ più insù un oggetto che sale lungo e stretto, il bastone si ripiega ad uncino e si appende al manubrio del carrello.
E allora ti pesco la vecchia che ha ormai percorso la metà del tragitto, mi accorgo che non solo beccheggia ma anche rolla, come se cercasse di abbassarsi senza curvarsi - come le fisarmoniche.
Però è vicina - la mano supera ancora qualche decina di millimetri ma sembra che l’ultimo tratto sia il più arduo – pian piano altri quindici millimetri, da dieci centimetri che erano ora ne restano solo ottoemmezzo.


Un guizzo fulmineo.
Un guizzo fulmineo.
Un guizzo fulmineo, pressoché invisibile, e la cioccolata Ritter quadrata e di colore celeste perché al latte primeggia nuovamente davanti alle sue simili sullo scaffale.
Un guizzo fulmineo, uno scatto felino.
Sotto la mano un movimento perfetto, fluido, impercettibile, silenzioso e la vecchia che resta ancora a mezza altezza, irrigidita in quello che sembra lo strano passo di una danza tribale.
Un attimo prima di tutto ma forse quasi un’istante dopo, un indistinto subliminale brusio promana dalle mie corde vocali: “Ich kann”, “io posso”!
Doveva probabilmente seguire un “…sie nehmen”, “…prenderla”, e forse anche un “…für sie” “…per lei”,
ma ormai la vecchia aveva alzato gli occhi.

Due occhi aperti, tondi tondi, riconoscenti, oserei dire quasi simpatici, oserei dire quasi vivaci: “Dankeschön!”.
Annaspare con grande sforzo in quegli occhi fattisi di colpo oceano, tirarsi via a forza contro se stessi prima di cominciare a maledirsi,
dileguarle di fronte

finché la corsia non rimane vuota.

20.12.05

deutsche Übungen: Rüdy Maass

Prima per gli esercizi di tedesco mi hanno fatto leggere la storia di un tizio troppo tosto di nome Rüdy Maass.
In pratica Rüdy abitava ad Hamburg, era il proprietario di un Caffè assai frequentato e di un panificio ben avviato, aveva sposato un gran pezzo di gnocca, guadagnava parecchio ed aveva il Mercedes Clk. Ma un giorno succede che una sua zia ci lascia le penne ed oltre alle penne gli lascia anche in ereditá una bicocca in un villaggio di provincia e cosí per il cazzo succede che Rüdy capisce tutto!
Cazzo, capisce che non aveva mai avuto del tempo libero per se stesso e che non aveva mai messo in discussione il suo way of live!

Insomma, va fuori di testa per la folgorazione e così la moglie lo lascia e poi gli vengono un sacco di fottutissimi problemi di salute. Allora Rüdy che è sempre più schizzato vende tutto e va ad abitare in campagna. Ha pochi soldi ma li fa bastare, non ha il telefono e va sempre in giro in bicicletta e mentre pedala si dice “Veloce, più veloce, velocissimo!!” (poveraccio: cosa non gli fanno dire gli autori per farmi imparare i comparativi e i superlativi).
E insomma lui é in campagna a fare il pezzente ed i vecchi amici di Hamburg lo prendono per il culo chiamandolo “fornaio-contadino” ma lui se ne sbatte perché, a parte un piccolo orticello, si concepisce più come un allevatore dal momento che se la fa con due pecore, un cane, due polli ed un cavallo.
E allora si sentono voci che raccontano che sto Rüdy va in giro a fare il tamarro con il cavallo e crede di essere diventato John Wayne, scorrazza per le proprietà ed il veterinario del villaggio (che si chiamava Raffaele) ha avuto
all’improvviso un sacco di lavoro perché gli sono arrivati da curare un sacco di casi di emorragie anali nelle galline. E poi hanno dovuto chiamare anche lo psichiatra perché sempre le stesse galline
– e ne aveva passate tante- non si facevano più avvicinare dai galli, e i galli si scorticavano scartavetrandosi sulle palizzate fino a morire dissanguati.
Beh, in realtà dicono solo che Rüdy si è fatto dei nuovi amici ed ora è felice come non lo era stato mai.

Embeh!
Quando ho finito di leggere ho pensato: certo che sto tipo era proprio tosto, aveva colto quel piccolo sottile dettaglio e ha semplicemente fatto quello che in buona fede riteneva la cosa migliore,
... arrivare a compiere scelte veramente libere,
magari sbagliare
ma scegliere in una radicale libertà,
accorgersi finalmente che non si agisce perchè si vuole arrivare lì, ma si agisce così perchè è veramente l'unica strada, tra tutte le possibili deviazioni, che si accetta come la propria ... senza riserve.

Ed è solo con quell'azione che non si sente dentro quel sempre diverso ma infine uguale qualcosa che fastidioso rimane indomito a far resistenza, il grillo parlante che non è la morale
ma la volontà dimenticata che non accetta mai d'essere tradita e sotterrata.
Solo che non si sa più che è la propria volontà dimenticata.
Non intendo né rimorso, né rimpianto: Rudy non ne aveva nessuno, ma oblio della volontà e quella soggiacenza nel permanere identico (il fango nella Storia Infinita) che rende incapaci di immaginare reali eventi di libertà, scelte libere, scelte matte,
... come comprarsi di punto in bianco una barca da pesca perchè l'idea di se stessi su quella barca, nel silenzio frizzante del mare, con la canna da pesca in mano ha in sè un'aura di perfezione.
E finalmente si ha capito che solo quelle perfezioni salvano dal nulla che inghiotte tutte quelle "mezzezze" d'essere che non arrivano mai a farsi reali, mai a saziare fino in fondo.

(come l'acqua di vita eterna di Gesù che placa la sete. Sapete perchè in eterno? Perchè togliendo il riferimento agli scopi libera l'azione dalla consequenzialità temporale della causa-effetto [l'anelito totalizzante di senso ha solo se stesso come scopo, è fine a se stesso, richiede solo la sua estrinsecazione, non cerca soddisfazione anche se in Gesù sembra così...ma sta diventando troppo difficile]. Quindi la causa non è un qsa d'altro dall'effetto -> quindi non c'è temporalità -> quindi è eterno. Ovviamente si capisce che l'eternità non è la durata illimitata nel tempo ma piuttosto un'assolutezza del presente)

Cazzo, mi sono perso.. scusatemi!
Volevo solo dire che un giorno voglio diventare un po’ come Rüdy.



Tra il qua e il là



Turbini di neve che entrano dentro gli antri, sotto i portici, e ti accompagnano sulle scale mobili mentre scendi verso le U-Bahn. Ti fermi, torni indietro, vuoi uscir fuori e gustarti questo spettacolo.
Ma la neve è “böse”, è cattiva, di quel cattivo che si dice dei bambini, quando sono “sustosi”, irrequieti e frignano senza alcun motivo.
Perché questa neve, non appena esci fuori, ti vortica attorno, ti sbatte in faccia e sugli occhi, non ti vuole là, ti respinge dentro, non vuole né te né il tuo apprezzamento di lei, nessun apprezzamento,
la neve è böse, la neve è irrequieta, non si cheterà, non cederà a nessuna delle tue lusinghe.
Ok, ok, ho capito, torno dentro, torno sottoterra.

(fermare i pensieri e ricordarli, ah si, proprio così)

Sono dentro l’ultima carrozza dell’U-Bahn, siedo nell’angolo in fondo a sx.
A volte resto colpito da quanto le facce dei tizi che mi circondano non mi dicano niente, assolutamente niente, li vedi e sai che non appena se ne saranno andati non ti ricorderai mai più di averli incontrati: l’uomo di mezza età con il sacchetto della spesa ultravariopinto ed il suo placido contrarre i muscoli della bocca, quello un po’ più a dx che sembra uguale all’altro solo che di dieci anni più giovane. E poi a fianco ci’ho una vecchia, una vecchia con un piumino trapuntato “blù andato a male” ed un berretto a cuffia da ragazzo, nero con una idiotissima scritta rossa.

Fermata di Frankfürter Ring, la gente esce, la gente entra, “Bitte, zurück bleiben”,
i giri del motore salgono e mentre sto per partire, il mio sguardo, che avevo da po’ di tempo dimenticato fuori dal finestrino, si accorge di una donna sulla quarantina seduta sulla panchina. Bionda, faccia ancora giovane ma senza freschezza aspetta seduta. La fisso, ma non si gira.
E’ una mia piccola perversione quella di catturare lo sguardo delle persone che stanno fuori, cercare il contatto sfuggente, quello che non appena accade è già concluso, rimasto 5 secondi fa’ e 200 metri prima.
Un secondo è sufficiente per condividere la totalità di una giornata, e succede proprio perché sai che non sarà più di uno o due secondi, funziona solo così: non rischi nulla e non devi mettere parole in mezzo a sancire tutto ciò che l’altro mai saprà, a delimitare il mondo che mai lo riguarderà.
Funziona potenzialmente con tutti: donne, uomini, vecchi, giovani, bambini, anche con i bambini se riesci ad immedesimarti in loro, cosa effettivamente quasi impossibile.

Poco prima di Hartof, il conducente dice qualcosa, la gente si alza e si avvicina alle uscite.
Che si debba scendere mi è chiarissimo al cento per cento.
Ma accidenti, vorrei rimanere dentro, vorrei star lì seduto perché non me lo merito, non ho capito niente di quella macedonia di suoni dotati di un’intonazione innegabilmente convincente,
e se non ho capito vuol dire che devo restare lì ed esser portato nel deposito delle U-Bahn,
e lì ghettizzato assieme agli assopiti, agli ubriachi, ai sordi, ai barboni e a tutti quelli per i quali non conoscere il tedesco è come andare ad una festa di carnevale senza avere il costume.

Il fatto è che sei in transizione” - mi spiega un robusto cinquantenne dalla pancia di una sfericità perfetta, così candidamente esposto nella sua tuta grigietta di feltro –, “il fatto è CHE SENTI L’AVVENTO”,
non colgo e mi perdo nei suoi enormi mustacchi da tartaro;
“Si! Non capisci?” – mi dice mentre gli guardo le scarpe lunghe come due babbucce – “Come quale avvento? Il tuo avvento!”.

E capisco,
capisco mentre uscito dal treno ha voltato dalla parte opposta alla mia e si è allontanato in direzione Est-Nordest-Urali, capisco mentre sono di nuovo sotto la neve che turbina impazzita senza una direzione,

capisco perchè la adoro anche se così insopportabile,
capisco che sono in avvento, capisco che oggi sono in transizione.

18.12.05

Vlad si è fatto una bustina di Milupa


Vlad si è fatto una bustina di Milupa,
una di quelle confezioni che avevamo ereditato da Nicola, e che Nicola aveva ereditato da qualche altro italiano, e chissà quante mani avevano passato queste confezioni di Milupa..

fatto sta che Vlad ha deciso di farne una,
e allora io gli traduco le istruzioni,
gli suggerisco di misurare i 250 ml di acqua e di non fare ad occhio,
meglio fare 500 ml per due porzioni, perché appunto le quantità sono per pseudo-neonati.. giustamente.
Poi mi siedo e mangio il mio riso precotto con tonno.
Dopo un po’ – non so neanche se l’acqua aveva cominciato a bollire – Vlad decide che va bene così, versa il tutto nel piatto.
Ci butto gli occhi sopra, accidenti! aveva la consistenza di liquami verdi, insisto perché lo rimetta sul fuoco ancora un po’. Dice “AH, ok!”

Non so quanti nanosecondi siano passati ma Vlad è di nuovo davanti a me con la Milupa!
Prende un pezzo di pane e lo intinge, ma avrebbe dovuto superare quel cm superficiale di pura acqua calda, lo mangia…
1° osservazione: “Es ist zu heisse, …non riesco a sentire il gusto“
dopo una cucchiaiata e mezza
2° osservazione: “It has no taste!”

NO, mi dispiace,non riesco ad assistere a quella tortura, toccandogli l’avambraccio gli dico “Sincerly, Vlad, you’d better throw away that xxx”.
E cerco di giustificarmi spiegandogli che bisogna aver pazienza ed aspettare che si raddensi, gli mostro la foto sulla confezione: “vedi Vlad, ci sono le righe concentriche, ci sono le dune, non è una calma piatta tipo bassa marea”
Ma lui non ci sta, dice che comunque non avrebbe alcun gusto.
come vuoi Vlad..

Prima di uscire dalla cucina do un’occhiata alle mie spalle,
ha preso un grappolo di pomodorini a ciliegina, gli fa prendere un attimo di freddo sotto l’acqua corrente del rubinetto e mette l’intero grappolo sul piatto, lievemente curvo in modo da abbracciare il formaggino ed il toast al carbone.
Scusa Vlad, non l’avevo capito,
la tua è finissima arte concettuale!