30.3.06

B1

Berlino cominciò poco prima che vi arrivassimo nel momento in ci svegliammo da una delle più scomode dormite in treno della nostra vita.
Mancavano più o meno una cinquantina di kilometri che di fronte ai miei occhi rincoglioniti, nel mentre che si trovavano ancora a bisticciare con la luce, si pararono tante piccole silenziose Dogville.
Difatti si vedevano aldilà della siepe che costeggiava le rotaie numerosi paesini costituiti di numerose casette dai tetti a punta, ciascuna di esse con il suo giardinetto e i suoi 4-5 alberi.
Quel che colpiva era che fossero nelle dimensioni praticamente tutte uguali, anche il cortile -al centro del quale erano state diligentemente messe- era per tutte della stessa estensione…
tutto uguale.. quartieri tutti uguali di casette dai graziosi tetti a punta …
certo, pensava il mio subconscio nel dormiveglia, terreno fertile per ogni genere di umana depravazione..
erano gli alberi che non ci convincevano, a me e al mio subconscio, …
erano per noi indizio di un incivilimento selvaggio coatto,

un ordine a tutti i costi progettato da una follia che presumeva d'esser dotta..
chissà cosa nascondevano sotto quei tetti rosa quelle incantevoli case di bambole …
crimini orrendi e impronunciabili, della peggiore specie..senz'altro.
gli alberi ne emanavano distintamente le vibrazioni …
era in quei un bisbigliar sommesso e sinistro d’anime che avevan superato ogni ritegno, ogni limite, ogni proporzione…

Pian piano, seppellendo a suon di violente bastonate -come ad ogni risveglio mi capita di fare- il mio subconscio, obiettivai che l'unica cosa reale era una specie di sentore nuovo,

un sentore che noi - che nell’Europa Nord Continentale non eravamo mai stati - mai avevamo avvertito.
Credo che per primi furono i nostri corpi ad accorgersene e a metterci sull'avviso, ma fu il sussidiario delle elementari a venirci in soccorso e a dar rassicurazione ai sensi allarmati.

Quel sussidiario del quale molte e molte parole avevam imparato senza saper qual motivo avessero per esistere, quelle parole che ora - svegliandosi da un letargo mentale durato quasi 20 anni - reminiscevano fuori così, destate da quello stesso sentore che or ora s'apprestavano a presentarci.

27.3.06

cambio d'aria

Questa è una sera nella quale sembra che l’estate sia venuta per un sopralluogo a dirti di non temere, che alla fine arriverà anche da te.
C’è persino quell’odore caldo ma ventilato di pioggia che ti infonde il desiderio di rimaner fuori a camminare un altro poco tanto l’aria è così piacevole da respirare.
E’ un’atmosfera vivace che prelude a sensazioni liete.
Entrare nel vagone della U-Bahn, sedersi, restare 2 secondi soprapensiero,
avvertire che si ha una persona a fianco, una ragazza,
girare la testa,
e proprio in quel momento lei fa lo stesso.
Essersi scoperti a vicenda!
Un uomo sereno seduto di fronte che sorride,
che il movimento dei due dev’essere stato perfettamente sincrono,
e sincrona anche la reazione vergognosa di istantaneo ri-fuggimento.
Sorride perché deve aver colto tutto,
"questi
giovani curiosi e prevedibili",
lo ringrazio di cuore per avermi regalato questa convinzione,
d’esser giovane, non allo stesso modo di quella ragazzina di almeno 7 anni meno di me,
ma comunque giovane.
E’ un uomo dall'espressione pacifica, anzi contenta.
ha uno sguardo intelligente,
si, ha un’espressione bonaria perché è decisamente grassoccio,
e anche i suoi testicoli – che si riescono ad immaginare senza difficoltà dietro i pantaloni di raso grazie alla sua posizione un po’ avanzata con il bacino - stretti e pressati dal cavallo e separati tra loro dalla cucitura, hanno su di me un effetto bonario e rassicurante.
Salendo le scale, osservare le gambe del ragazzo di fronte che salgono scalino dopo scalino regolari: "avere delle gambe e poter decidere quando muoverle, dove condurle… affascinante!...
e poi l’uomo si ostina a cercare fuori di sé il sulime, il sacro, il santo… Dio, .. non c’è essere più perfetto e più denso di significato di lui... basta guardargli le gambe e si capisce tutto".

Ma perchè sto rientrando in casa?

23.3.06

come va col tedesco

Ogni tanto capita che torni a casa dal supermercato e guardi sul dizionario per sapere che cosa hai comprato. Oggi la parola che non conoscevo era “GLANZ”, quella che conoscevo era – e poi non si dica che non mi sforzo col tedesco – “SHAMPOO”.
Ho quindi scoperto che ho comprato un shampoo per capelli splendenti…
Allora mi domando: “che lo devo usare solo quando li ho splendenti??
No, perché se è così ho sbagliato shampoo, non lo userei quasi mai”.
Aspetto insulti.
In realtà mi son detto: “Che culo! Fin’ora avevo provato solo shampi che mi facevano i capelli “sani”, altri che li rendevano “luminosi”, altri “senza forfora”, etc. , ma mai uno shampo che li fa “splendenti”….. forte! Chissà se la gente se ne accorgerà, che ho i capelli non sani, non luminosi, non …, ma splendenti! Chissà se mi diranno «toh! Oggi ci’hai proprio i capelli splendenti!»”

Sono andato a giocare a pallavolo dopo un bel pezzo che non facevo sport.
Erano le 17, non riuscivo a combinare un cazzo (cioè studiare), ero piuttosto nervoso…
così le scarpe a tennis le avevo, sono andato al discount dei vestiti, ho trovato un costume a braghetta decente, l’ho comprato ed eccomi in palestra a fare il figo.
Ho sfoggiato una serie di “AUS” (cioè ho detto: “FUORI”= “la palla cade fuori dal campo”=”non toccarla se no ti stacco il braccio”) innegabilmente d.o.c. .
Li ho scanditi bene e ci’ho messo anche quel giusto pizzico di aggressività.
M’hanno scambiato per un tedesco per una buona parte della partita.
Poi, purtroppo, m’hanno scoperto quando sono andato a battere e la palla spettava all’altra squadra,
allora hanno capito che avevano l’italiano in squadra..
“e per quale motivo pensate che state vincendo crucchetti??” gli avrei detto se non che la costruzione in tedesco era troppo complessa.

Parlerei soprattutto – se mi chiedessero come va col tedesco – della sicurezza con la quale apro le porte.

Fino a poco tempo fa ero solito a fermarmi completamente di fronte alla porta,
esaurivo ogni inerzia,
appoggiavo la mano sulla maniglia,
tiravo verso di me e poi -se c’era resistenza- spingevo.
Tutto ciò perché giudicavo – e con buone ragioni - il cartello “DRÜCKEN” assai infido, e di conseguenza anche “ZIEHEN” non era da me visto di buon occhio.
Ma la colpa era di Drücken.
Metti che la parola si pensasse più come uno “stampare” che non uno “spingere” (perché certo, anche le parole a volte si confondono) e io fidandomi ciecamente di lei, non esaurissi l’inerzia, spingessi con entusiasmo,
e con entusiasmo raddoppiato (il mio assieme a quello della porta) mi sprugnassi, o meglio “stampassi”, il naso sul legno…
voglio dire: non è simpatico.
Il fatto è noto: i tedeschi lavoran di fino con le parole e
affidano la differenza tra il tuo spingere una porta ed il tuo stamparti su di essa a due piccoli, ignari, spensierati puntini, a cui inizialmente non avevo dato alcun peso, i quali rispondono al nome di umlaut o – per chi se la tira – metafonesi.
Inizialmente non potevo dar credito a quei due puntini ed affidar loro la sorte dei miei 30 denti, ma ora è diverso, ora siamo amici, io e i puntini,
adesso – per farla breve - le porte comincio a spingerle con decisione.

Sempre in nome del nulla di questi post vi espongo due sillogismi che io ed Eduardo abbiamo concepito ieri alle due di notte in seguito ad un’improvvisa folgorazione causata da una eccessivo ingurgitamento di fagioli in scatola in salsa radioattiva.
Per restare in tema dovrei scriverli in tedesco... ma è troppo tardi per simili sforzi!

1.
Dio ha creato tutte le cose naturali;
L’uomo rende grazie della magnificenza di Dio (nella creazione) godendo del particolare frutto che ogni cosa porta in sé,
La pianta di Marjuana è naturale;
La pianta di Marjuana è stata creata da Dio;
ERGO
Chi non fuma Marjuana è un ingrato verso Dio.

2.
Dio ha creato tutte le cose naturali;
Dio al termine di ogni cosa creata la sperimentava per giudicare se era buona e giusta;
La zanzara è naturale;
La zanzara è stata creata da Dio;
ERGO
Dio deve aver creato la zanzara subito dopo aver creato la Marjuana.

Anche in questo caso si accettano insulti.

21.3.06

Socrate fa sbellicare

Una delle cose che piú non sopporto é essere trattato con sufficienza dai negozianti!!
Avete presente quei commessi tutti impettiti e fieri che ti guardano dall`alto in basso?
Beh, - dopo quella volta che ho sentito Socrate parlar di loro e, nella sua compassata e impassibile ironia, demolirli senz`alcuna pietá- in tali situazioni mi faccio delle sane sghignazzate.

«E se il contadino o un altro artigiano, quando porta al mercato qualche suo prodotto, non arriva nello stesso momento di chi ha bisogno di comprare da lui, non attenderà al proprio lavoro per starsene seduto al mercato?». «Nient'affatto», rispose.
«Ci sono degli addetti che si incaricano di ovviare a questo inconveniente; nelle città ben amministrate sono per lo più le persone fisicamente svantaggiate e incapaci a svolgere altre attività. Essi devono rimanere intorno alla piazza del mercato, acquistare per denaro le merci da chi ha bisogno di vendere e poi passarle, sempre per denaro, a chi ha bisogno di comprare».
Plato, REPUBBLICA, Libro II (paragrafo 22)

Quell´uomo era un grande!

ah, é probabile che domani s`arrivi alla 1000esima visita (lo vedete sul contatore):
si avverte che ció potrebbe esser causa di illimitate sfighe per il disgraziato malcapitato!!
Ovviamente la direzione declina ogni responsabilitá ( e sotto sotto ci gode).

18.3.06

anche oggi -nonostante le mie intemperanze-
il sole non ha tirato pacco,
sembra che ci siano ancora delle possibiità

17.3.06

poichè sembra che non mi si gradisca di questi 3 giorni a Berlino non sarò io a parlarvi

13.3.06

Antari si finge mussulmano

Fu senz'altro colpa di quella confezione di tortellini al prosciutto crudo;
quei tortellini che sembravano essere stati concepiti direttamente dentro la plastichetta trasparente che li conteneva,
anzi, essa stessa - probabilmente - doveva aver svolto il ruolo di uovo o placenta o utero ed essi - i tortellini - da muffe embrionali avevano gradatamente preso forma all´interno.
Come fosse sorto, chi o cosa avesse deposto quell´involucro tortellifero - animale uomo o extraterrestre -, tali questioni sorpassano i poteri dell´umana ragion pura.

Insomma, successe che tutta la spesa era stata velocemente trasferita nella dispensa, tutta fuorché quei tortellini che pazientavano fiduciosi sul tavolo della cucina.
Antari si sedette esausto.
I tortellini erano lí, in attesa, in attesa di ricevere una sistemazione, uno scopo, un perché.
Antari era lí, dopo otto ore di fabbrica iniziate alle cinque della mattina aveva esaurito tutti gli scopi, tutti i perché, anche per se stesso: arrivato a casa con il solo desiderio di dormire pur anche la sua semplice autocoscienza gli ronzava fastidiosa ed inopportuna.
Figuriamoci nutrirsi, figuriamoci i tortellini, codeste malnate creature in febbrile attesa.

Non poteva mentire a se stesso: costoro stazionavano sul tavolo della sua cucina perché LUI li aveva presi, LUI li aveva strappati alle materne cure del banco frigo, LUI -propriamente i suoi muscoli - li aveva trasportati "di peso" per centinaia e centinaia di metri fino a casa.
Dipendevano dalle sue decisioni, erano ormai definitivamente sotto la sua responsabilitá, e lui, LUI, non sapeva che farne.
Destinarli per direttissima alla spazzatura non era certo da buoni cristiani, difatti anch´essi -non in sé ma per la coscienza di Antari - si potevano in un certo senso percepire come creature di Dio. Come si poteva negar loro l´esaltante psichedelico viaggio nel sistema digerente umano?
Un odio profondo cominció a nascergli dentro, le labbra si tesero fino a diventare due linee sottili sottili, il respiro si affannó e lo rese paonazzo... distolse lo sguardo.

E fu allora,

nel movimento in cui Antari scivolava dal senso del sacro al senso d´oppressione, che spuntò in lui come un'ernia il desiderio mefistofelico d´un´irrazionale abnegazione auto-mortificante, dell´esposizione di sé in una colpevolezza totale, nuda e impudica, fortemente voluta ed indifendibile.
Gli occhi si spalancarono emettendo una luce sinistra, la follia sguazzó finalmente libera in quel ghigno diabolico.
Nasceva in lui un'intenzione perfetta, invereconda ed inconfessabile, un'ebbrezza carica di vertigine, la bramosia di un cader luciferino, cosí vergognosa che il solo trattenerla nella mente gli causava un gorgoglio di incontenibile piacere.

Antari prese la confezione di tortellini al crudo, la pose sopra il microonde e se ne andó a dormire tranquillo.
La sera, in cucina, era a tavola per la cena una coppietta di italiani, lui e lei entrambi studenti di filosofia. Era l´occasione perfetta!
I due erano persone a modo: affabili, gentili, equilibrati, razionali e di ampie vedute; il sentimento animale é massimamente pungolato quando l´atto meschino si espone al giudizio di intelligenze spirirtuali ed il suo istinto lo sapeva.
Ora non doveva far altro che lasciarsi guidare dall´istinto: nulla di piú facile che cedere alla vertigine e buttarsi.
Disse che se ne sarebbe andato in camera a leggere qualcosa,
quindi si alzó in piedi,
superó il tavolo facendo per uscire,
ma -giunto all´altezza del microonde- rallentó.
La voce incerta, come soprapensiero, distrattamente:
"Ah....ehm.. se volete... potete mangiarli voi questi tortellini" -aprendo la porta- "io non li mangio perché ..." -tutto attaccato ma l´ultima parola ben scandita e con un´enfasi quasi buffa- "sonodiPORCO", e se ne uscí.
Le forchette a mezz´aria, la certezza che c´era qualcosa che non quadrava, lui la guardó e poi disse: "Ma non era cristiano ortodosso?"

9.3.06

Dialogo in una brulla e inospitale landa deserta

Era questo un tale periodo nello quale soleva intrattenermi gaudamente nelle Operette Morali del Leo-Leopardi.
Avendo ormai da uno lungo tempore molesto quanto mai aspro contenzioso con una certa minoranza, trovai nelli dialoghi di Leo-Leo lo suggerimento, come si suol dire il "LA" per, il pungolo e la via, l´occasione per dipinger di costoro la meschina natura. Cosí nacque - per dirla in breve- cotesta mia piccola invenzione.
Lo stile é lo medesmo della precedente "fiaba invernale", poiché s´ha da indovinar i protagonisti o più che altro il luogo, ma all´incontro in cotesto caso l´asperitá é assai piú lieve: imperdicciocché basta conoscer lo autore che ogni cosa intelligibil vien ad esser!



PELUNO: “Oh me, eccomi rimasto solo in questa distesa brulla e livida, non più allietato dal conversar di voci amiche, non più confortato dal comunar del destino con chicchesia. Tremo ancor per l’orror a cui poc’anzi assistetti, unico sopravvissuto per fatal caso vidi i miei compagni uno ad uno esser falciati da immensa e spietata lama. Chi mai potè esser –mi domando- l’artefice che questa strage volle nelli suoi disegni?”.

AVVIEN ORA UN TREMOR ALLE FONDAMENTA, MOVIMENTI SOTTERRANEI PRELUDON AL SORGER DI NUOVE ESISTENZE, LE QUALI S’AVVERTON TOSTO LOTTAR SOTTO LA ROSEA SUPERFICIE AL FIN DI PENETRAR LA MEDESMA ED IN TAL MODO GIUGNER ALLA LUCE.
ED ECCO TRE NOVELLE CREATURE FUOR USCIR DELLA SOLA MISURA DEL CAPO POCO INNANZI AL BEN PIU’ ELEVATO E NON PIU’ SOLITARIO ORATORE.

PELUNO: “Oh qual insperato gaudio fratelli, già risorgete. Come vi trovate? Fu assai profondo il dolor nel trapasso?”
PELDUE: “Qual trapasso? E piuttosto: chi sei tu che costì familiarmente a noialtri t’apostrofi?
Chi mai ti conobbe? Possibil che ci vedemmo di già in passato non è, poiché ancor ‘si pochi istanti son trascorsi dacchè primariamente luce videmmo”.
PELUNO: “Che scherzo è questo? Davvero non vi rammentate di me?”
PELTRE: “Già costui te lo disse: Come potremmo? Non t’avvedi che siam appena nati?”
PELUNO: “M’avvedo eccome, ma vedo anche che siete i medesimi assieme alli quali io stesso nacqui e crebbi; poi accadde quel che accadde, evento ad ora non così remoto: io rimasi integro, scampato forse per una distrazione o comunque per caso, voi spezzati. Ed ora son qui che vi vedo risorger”.
PELQUATTRO: “Qual bizzarro e infausto modo d’accoglier dei nuovi nati ha cotesto vecchio! Assurdamente sostiene che già fummo e di prematura morte perimmo, ci spieghi allor perché di tali eventi non serbiam memoria alcuna!”
PELUNO: “Ahi! Ivi comprendo! Per la prima volta contemplo nella sua interezza e brutalità quale infelice ed immeritata sorte il cruel fato c’impose! Per forza non m’intendete che anche l’intelletto vostro, e la memoria con esso, veniron meno. Ecco la verità su di noi: incessantemente rinascer, crescere, confidar sinceri nella lietezza del mondo e quindi nuovamente, ogni volta, esser stroncati e recisi alla base. La vita nostra è dunque dolore ed il dolor lama che recide. Allor vien spontaneo il domandar: pel sollazzo di qual spirito oltremondo fummo fatti ‘sì miseri?”.
PELTRE: “Se la tua lunghezza è corretto indice d’anzianità, mio buon vecchio, qual disperata saggezza acquistasti nel lungo tempo che avesti a precederci!”
PELUNO: “Forse hai ragione. Forse non dovrei gravarvi il core d’una conoscenza ‘si luttuosa, ‘si mesta, nonostante essa vi riguardi interamente. Come posso io la vostra illusione - possibil solo nella gaia giovinezza – distrugger in siffatto modo? Eppur molto presto sarem parificati nell’età e tutti della medesima lunghezza, … o meglio di nessuna lunghezza sarem a breve tutti”.
PELDUE: “Com’è possibil quel che tu affermi? Già mi sento nell’altezza raddoppiato e tu stesso, vecchio, mi pari aumentato di non poco”.
PELUNO: “Quel che dici è vero mio buon amico. Cresciam ininterrottamente e mai cesseremmo se ci si lasciasse farlo. In vero poco prima che di voi fosse fatta strage eravam tutti d’una lunghezza comune, all’incirca di due terzi rispetto a come io or sono”.
PELQUATTRO: “Menzogne! Tu ci vuoi ingannare e non so per qual ragione intristire. Osservate, amici, costoro che – simili a noi per forma e colore – stanno un po’ più in su: essi son decine e decine di volte più lunghi di costui, vivon numerosi e gaudenti in folte comunità e a giudicar dalla lunghezza da remotissimo tempo. Rivolgiamoci a loro e non a questo triste figuro: essi ci diranno la verità!”
PELUNO: “Per me potete far pure che tanto mai vi intenderanno poiché sì, son nostri parenti, ma d’una troppo lontana parentela. Di fatti paion non esser destinati alla nostra tragica sorte che quella volta la letal lama sembrò di costoro non curarsi affatto: è evidente che d’un’altra natura partecipano”.

ALLOR I TRE PROBAN A LANCIAR URLA E GRIDI AI LONTANI VICINI
MA NULLA E NESSUNO RISPONDE O LI INTENDE, COSICCHE’ RIMANGON MUTI E DISORIENTATI SENZA SAPER A COS’ALTRO POTERSI TENDE.

PELUNO: “Ecco miei cari come i primi silenzi alle vostre speranzose domande già vi menan lontano dalla vostra bella giovinezza: mai avreste dovuto chieder conferma dei vostri sogni se l’intento vostro era di continuar a sognare!
Ma mia è la colpa, io vi spinsi in tale tentazione: lo riconosco. Ma non mi pento, anzi.
Fortuito fu il caso che mi diede l’opportunità di conoscer la verità sulla nostra condizione e difficilmente si ripeterà. Cari compagni di sventura: viviamo infinite vite, ed ognuna di queste la viviamo nella totale ignoranza di ciò che siamo e di ciò che ci aspetta; son vite inconsapevoli caratterizzate da una gioia ingenua che ogni volta vien spezzata assieme alla vita stessa da una violenza incomprensibile che ci è impossibile prevedere e immaginare.
Non mi biasimerete dunque se renderò una delle vostre infinite vite, infondatamente e ingenuamente gaie, un’esistenza non lieta ma cosciente almeno per una volta dello scuro destino nel quale da sempre s’agita. Solo in questo modo, uniti nella consapevolezza di ciò che ci attende, potremo cogliere questa possibilità, forse l’unica, di comune condanna che altrimenti rischierebbe d'andar persa”.
PELQUATTRO: “Facile è per te svelar codesto sbandierato mistero ed esser da loro creduto, giacchè – paralizzatili in un nero terrore - null’altro vogliono oramai se non venirne a capo. Il tuo parlar lugubre sembra veramente riferirsi all’esperienza d’un orrore grande, il quale, da te sapientemente preparato, ha annientato in loro ogni residua fede o speranza. Non li vedi come son vinti. E allora suvvia! Se è vero che presto sarem tutti distrutti, dicci! Chi sarà mai codesto mostro ‘si barbaro e feroce da volerci far fuori tutti?”.
TROPPO TARDI!
UN’IMMENSA LAMA ATTERRA ALL’ORIZZONTE E TOSTO S’AVVICINA:
STIK
STEK
STAK
STUK
I QUATTRO PELACCI SALTAN VIA

DALLA GOTA LISCIA E ROSA
CHE PORTENTO E’ MAMMAMIA

QUEST’AGGEGGIO DELLA TOSA!

6.3.06

lasciate che la neve sia;
copra le voci
e le convulsioni,
come i corpi nel sonno,
plachi il nostro dirci per un po'