9.3.06

Dialogo in una brulla e inospitale landa deserta

Era questo un tale periodo nello quale soleva intrattenermi gaudamente nelle Operette Morali del Leo-Leopardi.
Avendo ormai da uno lungo tempore molesto quanto mai aspro contenzioso con una certa minoranza, trovai nelli dialoghi di Leo-Leo lo suggerimento, come si suol dire il "LA" per, il pungolo e la via, l´occasione per dipinger di costoro la meschina natura. Cosí nacque - per dirla in breve- cotesta mia piccola invenzione.
Lo stile é lo medesmo della precedente "fiaba invernale", poiché s´ha da indovinar i protagonisti o più che altro il luogo, ma all´incontro in cotesto caso l´asperitá é assai piú lieve: imperdicciocché basta conoscer lo autore che ogni cosa intelligibil vien ad esser!



PELUNO: “Oh me, eccomi rimasto solo in questa distesa brulla e livida, non più allietato dal conversar di voci amiche, non più confortato dal comunar del destino con chicchesia. Tremo ancor per l’orror a cui poc’anzi assistetti, unico sopravvissuto per fatal caso vidi i miei compagni uno ad uno esser falciati da immensa e spietata lama. Chi mai potè esser –mi domando- l’artefice che questa strage volle nelli suoi disegni?”.

AVVIEN ORA UN TREMOR ALLE FONDAMENTA, MOVIMENTI SOTTERRANEI PRELUDON AL SORGER DI NUOVE ESISTENZE, LE QUALI S’AVVERTON TOSTO LOTTAR SOTTO LA ROSEA SUPERFICIE AL FIN DI PENETRAR LA MEDESMA ED IN TAL MODO GIUGNER ALLA LUCE.
ED ECCO TRE NOVELLE CREATURE FUOR USCIR DELLA SOLA MISURA DEL CAPO POCO INNANZI AL BEN PIU’ ELEVATO E NON PIU’ SOLITARIO ORATORE.

PELUNO: “Oh qual insperato gaudio fratelli, già risorgete. Come vi trovate? Fu assai profondo il dolor nel trapasso?”
PELDUE: “Qual trapasso? E piuttosto: chi sei tu che costì familiarmente a noialtri t’apostrofi?
Chi mai ti conobbe? Possibil che ci vedemmo di già in passato non è, poiché ancor ‘si pochi istanti son trascorsi dacchè primariamente luce videmmo”.
PELUNO: “Che scherzo è questo? Davvero non vi rammentate di me?”
PELTRE: “Già costui te lo disse: Come potremmo? Non t’avvedi che siam appena nati?”
PELUNO: “M’avvedo eccome, ma vedo anche che siete i medesimi assieme alli quali io stesso nacqui e crebbi; poi accadde quel che accadde, evento ad ora non così remoto: io rimasi integro, scampato forse per una distrazione o comunque per caso, voi spezzati. Ed ora son qui che vi vedo risorger”.
PELQUATTRO: “Qual bizzarro e infausto modo d’accoglier dei nuovi nati ha cotesto vecchio! Assurdamente sostiene che già fummo e di prematura morte perimmo, ci spieghi allor perché di tali eventi non serbiam memoria alcuna!”
PELUNO: “Ahi! Ivi comprendo! Per la prima volta contemplo nella sua interezza e brutalità quale infelice ed immeritata sorte il cruel fato c’impose! Per forza non m’intendete che anche l’intelletto vostro, e la memoria con esso, veniron meno. Ecco la verità su di noi: incessantemente rinascer, crescere, confidar sinceri nella lietezza del mondo e quindi nuovamente, ogni volta, esser stroncati e recisi alla base. La vita nostra è dunque dolore ed il dolor lama che recide. Allor vien spontaneo il domandar: pel sollazzo di qual spirito oltremondo fummo fatti ‘sì miseri?”.
PELTRE: “Se la tua lunghezza è corretto indice d’anzianità, mio buon vecchio, qual disperata saggezza acquistasti nel lungo tempo che avesti a precederci!”
PELUNO: “Forse hai ragione. Forse non dovrei gravarvi il core d’una conoscenza ‘si luttuosa, ‘si mesta, nonostante essa vi riguardi interamente. Come posso io la vostra illusione - possibil solo nella gaia giovinezza – distrugger in siffatto modo? Eppur molto presto sarem parificati nell’età e tutti della medesima lunghezza, … o meglio di nessuna lunghezza sarem a breve tutti”.
PELDUE: “Com’è possibil quel che tu affermi? Già mi sento nell’altezza raddoppiato e tu stesso, vecchio, mi pari aumentato di non poco”.
PELUNO: “Quel che dici è vero mio buon amico. Cresciam ininterrottamente e mai cesseremmo se ci si lasciasse farlo. In vero poco prima che di voi fosse fatta strage eravam tutti d’una lunghezza comune, all’incirca di due terzi rispetto a come io or sono”.
PELQUATTRO: “Menzogne! Tu ci vuoi ingannare e non so per qual ragione intristire. Osservate, amici, costoro che – simili a noi per forma e colore – stanno un po’ più in su: essi son decine e decine di volte più lunghi di costui, vivon numerosi e gaudenti in folte comunità e a giudicar dalla lunghezza da remotissimo tempo. Rivolgiamoci a loro e non a questo triste figuro: essi ci diranno la verità!”
PELUNO: “Per me potete far pure che tanto mai vi intenderanno poiché sì, son nostri parenti, ma d’una troppo lontana parentela. Di fatti paion non esser destinati alla nostra tragica sorte che quella volta la letal lama sembrò di costoro non curarsi affatto: è evidente che d’un’altra natura partecipano”.

ALLOR I TRE PROBAN A LANCIAR URLA E GRIDI AI LONTANI VICINI
MA NULLA E NESSUNO RISPONDE O LI INTENDE, COSICCHE’ RIMANGON MUTI E DISORIENTATI SENZA SAPER A COS’ALTRO POTERSI TENDE.

PELUNO: “Ecco miei cari come i primi silenzi alle vostre speranzose domande già vi menan lontano dalla vostra bella giovinezza: mai avreste dovuto chieder conferma dei vostri sogni se l’intento vostro era di continuar a sognare!
Ma mia è la colpa, io vi spinsi in tale tentazione: lo riconosco. Ma non mi pento, anzi.
Fortuito fu il caso che mi diede l’opportunità di conoscer la verità sulla nostra condizione e difficilmente si ripeterà. Cari compagni di sventura: viviamo infinite vite, ed ognuna di queste la viviamo nella totale ignoranza di ciò che siamo e di ciò che ci aspetta; son vite inconsapevoli caratterizzate da una gioia ingenua che ogni volta vien spezzata assieme alla vita stessa da una violenza incomprensibile che ci è impossibile prevedere e immaginare.
Non mi biasimerete dunque se renderò una delle vostre infinite vite, infondatamente e ingenuamente gaie, un’esistenza non lieta ma cosciente almeno per una volta dello scuro destino nel quale da sempre s’agita. Solo in questo modo, uniti nella consapevolezza di ciò che ci attende, potremo cogliere questa possibilità, forse l’unica, di comune condanna che altrimenti rischierebbe d'andar persa”.
PELQUATTRO: “Facile è per te svelar codesto sbandierato mistero ed esser da loro creduto, giacchè – paralizzatili in un nero terrore - null’altro vogliono oramai se non venirne a capo. Il tuo parlar lugubre sembra veramente riferirsi all’esperienza d’un orrore grande, il quale, da te sapientemente preparato, ha annientato in loro ogni residua fede o speranza. Non li vedi come son vinti. E allora suvvia! Se è vero che presto sarem tutti distrutti, dicci! Chi sarà mai codesto mostro ‘si barbaro e feroce da volerci far fuori tutti?”.
TROPPO TARDI!
UN’IMMENSA LAMA ATTERRA ALL’ORIZZONTE E TOSTO S’AVVICINA:
STIK
STEK
STAK
STUK
I QUATTRO PELACCI SALTAN VIA

DALLA GOTA LISCIA E ROSA
CHE PORTENTO E’ MAMMAMIA

QUEST’AGGEGGIO DELLA TOSA!

5 Commenti:

Anonymous Anonimo ha detto...

cazzo capisco sempre meno..

10 marzo, 2006 19:33  
Anonymous Anonimo ha detto...

io sono troppo pop per queste cose...

criptico.

11 marzo, 2006 05:02  
Anonymous Anonimo ha detto...

bellissimo,non ho parole.allora i discorsi di ieri han fruttato.posso salvarmelo da qualche parte?non c'è copyright vero?tu sei per il copyleft,lo so!proprio bello,bravo!

11 marzo, 2006 16:17  
Blogger franzesco ha detto...

certo elena, ammetto anche il copy-all.. forza tutti gli altri! che si sforzino (a meno che non siano le 5 di mattina), che la prendano come un'occasione per pompar la lor auto-stima che - a mio avviso - anche un piatto di patate lesse è "pop" e ti voglio vedere quanto a lungo riesci ad andar avanti con solo patate lesse (anche se so di gente rispettabilissima che sbava per il trittico "patate-sale-olio"). Aggiungo inoltre "in calce" che la canzone associata al pezzo è dei Dandy Warhols, i quali oltre ad essere un gruppo decisamente pop richiamano alla memoria un certo iniziatore... che se non sbaglio aveva messo le mani su un classico -la Monnalisa- dandogli un tocco "pop". Solo che la sua idea era buona solo nel senso del ritrarre il disagio esistenziale e l'azione "disanimante" operata dal nuovo mondo della plastica laccata. Indubbiamente un cattivo esempio.. da non citare più.

12 marzo, 2006 19:04  
Anonymous Anonimo ha detto...

GENIALE.
DANY

26 marzo, 2006 14:46  

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